Il pugno di lato - Incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia

Sembra essere un evento moderno, degli ultimi decenni. Sembra essere nato sull'onda dell'annientamento dei confini europei e la riduzione della burocrazia per gli stati extraeuropei, ma non è così. Fuga di Cervelli, Cervelli in fuga, lavoratori all'estero, chiamateli come volete, l'importante è che la definizione sia unanime. “cittadini dell'unione europea in possesso di un titolo di laurea, che hanno risieduto continuamente per almeno ventiquattro mesi in Italia e che, sebbene residenti nel loro Paese d'origine, hanno svolto continuativamente un'attività di lavoro dipendete, di lavoro autonomo o di impresa fuori di tale Paese e dell'Italia negli ultimi ventiquattro mesi” (A.S. n.2212 Art. 2, comma 1). Ok, fermi tutti. C'è qualcuno che non ha capito? Spiego. Questa definizione è stata estrapolata dal disegno di legge intitolato “Incentivi fiscali per il rientro dei lavoratori in Italia”. Approvato da entrambe le camere il 25 maggio 2010 alla Camera dei Deputati e il 23 dicembre 2010 al Senato. Il motivo di questa legge è far fronte alla fuga di eruditi, brillanti imprenditori e manager se non semplici lavoratori che optano per trasferirsi in stati esteri Europei se non Extraeuropei. L'idea dei legiferanti è semplice. Ridurre lo sgravio fiscale per un determinato tempo per coloro che pensano di tornare nel loro bel paese. Torniamo sui passi del disegno di legge attualmente in fase di scrittura e pubblicazione.

La definizione data prima su “chi è il cervello in fuga” è molto chiara. Cittadini laureati, “studiati” che hanno RESIDENZA (da non confondere con il domicilio. La residenza è l'indirizzo scritto sulla carta di identità, il domicilio è in pratica dove alloggiate) in Italia, ma che per motivi di lavoro sono domiciliati (stanno, alloggiano, dormono, vivono) in un paese diverso da quello di residenza (Italia).
I soggetti sono loro. Più precisamente il disegno di legge restringe il cerchio a persone nate dopo il 1° gennaio 1969. Ad oggi 2011 sono gli attuali quarantenni e poco più.
I soggetti in questione in caso di rientro in Italia, dopo un iter burocratico, potranno approfittare del beneficio fiscale messo loro a disposizione. L'articolo 3 parla di questo onere: imposta ridotta al 20% per le donne e 30% per gli uomini. Non ridotta “del 20-30%”, ma “A” quella percentuale. Una riduzione dell'imposta equivalente all'80% per le donne e del 70% per gli uomini. Ultimo punto preso in considerazione nonostante vi siano altri punti: l'articolo 1. Durata della riduzione fiscale. Sintesi: da entrata in vigore della legge fino alla fine del periodo di imposta in corso: fine 2013.
Ora, considerazioni a caldo che si possono condividere comodamente su questo blog.
Chi viene favorito con questa legge sono quelli che avranno il coraggio di tornare al paese d'origine. Sbrigate le procedure amministrative potranno usufruire dei vantaggi per un periodo ridotto: un avviamento. Il dubbio che scaturisce è l'utilità di questa riduzione. Siamo poi sicuri che il “lavoratore” rimanga allo stato d'origine? Secondo l'articolo 7 il beneficiario deve garantire la sua presenza lavorativa in Italia per almeno cinque anni dal suo ritorno. Sono sufficienti cinque anni per convincere un individuo che ha fatto la sua esperienza all'estero a rimanere in una Nazione destinata al calo del lavoro?

Altro dubbio. Più che un dubbio è un analisi etica. Vi sono due individui con la stessa istruzione e le stesse capacità intellettive e procedurali; uno cerca lavoro all'estero e l'altro rimane in Italia. Chi dei due è favorito da questa legge? Il personaggio andato all'estero. Logico. Quale dei due ha però rispecchiato il vero senso patriottico? (…) In sintesi il personaggio andato all'estero ha la possibilità di trovare un lavoro maggiormente retribuito se si confrontano alcuni dati. Mediante la legge ha l'occasione di tornare per un discreto periodo in patria ricevendo per un discreto tempo agevolazioni fiscali. Si rischia di dover arrivare a questo tipo di pensiero: “lavoro all'estero due anni e torno in Italia. Ho fatto un esperienza maggiore con elevato stipendio e questo aumenta il mio prestigio al contrario dell'italiano che è rimasto al suo paese; rimango cinque anni con qualsiasi lavoro e se non ho raggiunto lo stesso tenore che avevo all'estero vado nuovamente via dall'Italia”. L'individuo rimasto in Italia come viene tutelato/invogliato a rimanere? Mi viene da pensare: perché lo stato si lamenta della fuga dei cervelli quando in realtà l'agevola? Non dovrebbe stimolare questi “cervelli” a rimanere, invece di farli tornare e rimetterci anche in tasse?

Davide Vighetti

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